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Chi guadagna a mezzogiorno?

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 3 maggio, 2025 - 10:01

Claudio Della Volpe

Il blackout verificatosi in Spagna e Portogallo alle 12:30 ora locale (Madrid) di lunedì 28 aprile ha causato che in pochi istanti gran parte della rete elettrica di Spagna e Portogallo sia collassata, causando l’interruzione dell’alimentazione su quasi tutto il territorio.

E’ un evento importante da capire ed analizzare ma anche da integrare nella visione della transizione della rete elettrica mondiale a cui stiamo andando incontro.

Per capire di più queste cose possiamo guardare anche ad un altro fenomeno che gran parte di noi NON conosce: specie in primavera ed estate ci sono momenti in cui l’energia elettrica non costa nulla sul mercato elettrico, ma noi utenti finali continuiamo a pagarla; come mai?

Questo dato potete cercarvelo da soli sulla pagina del GSE, il gestore della rete elettrica nazionale: questo qui sotto è il prezzo della energia elettrica del 1 maggio 2025 in Italia, il PUN, ossia il prezzo Unico nazionale che i gestori dei nostri servizi pagano ai produttori sul cosiddetto borsino elettrico e che diventa poi parte del prezzo della corrente che noi paghiamo:

https://www.mercatoelettrico.org/it-it/Home/Esiti/Elettricita/MGP/Esiti/PUN

Come vedete per il 1 maggio 2025 per circa 6 ore il prezzo della corrente elettrica è previsto a ZERO:

Non è strano né isolato; nell’ultimo mese la situazione è stata questa:

Nei giorni di bel tempo (a centro giornata) o di vento forte il prezzo crolla, perché in quel momento la offerta sul mercato SUPERA la domanda; per qualche ora che diventano decine di ore durante l’anno intero (si veda l’immagine successiva); ma attenzione non siamo NOI utenti finali che paghiamo zero l’energia; noi continueremo a pagarla secondo il nostro contratto; la pagheranno zero le società che comprano dai produttori e ci rivendono l’energia elettrica finale; in quel momento il loro profitto sarà massimo, ma il nostro vantaggio per quel ben di dio che arriva dal Sole sarà nullo.

Quando poi il sole o il vento vanno giù occorre usare i fossili e allora il prezzo scarta verso i 100 e più euro a  megawattora o 0.12-0.16 euro a kilowattora.

Ovviamente il nostro prezzo finale non potrebbe essere zero perché comunque dobbiamo pagare il servizio di trasporto della energia e i servizi generali di funzionamento e gestione del venditore nei nostri riguardi (chessò la pagina web tramite la quale interagiamo col suo sito). Ma rimane che il nostro prezzo finale non viene in genere avvantaggiato da questo fenomeno del costo zero.

I due fenomeni che abbiamo citato, il blackout iberico e la vistosa mancanza di risparmio sul prezzo legata alle rinnovabili hanno la stessa origine; il mercato elettrico o borsino elettrico ed in genere il sistema elettrico non è organizzato per il bene comune, per gestire collettivamente la risorsa elettricità, ma per massimizzare i profitti dei produttori e venditori di energia elettrica; il mercato ha ormai da molti decenni terminato il suo ruolo di allocatore  neutrale ed efficiente delle risorse per diventare un meccanismo di difesa di interessi corporativi.

Avevo già avuto modo di raccontare cosa combina il mercato elettrico italiano con la storia del CIP6* che raccontai anni fa (rifacendomi al lavoro sempre da ricordare di Leonardo Libero) in vari post, dedicati alla storia dell’energia elettrica in Italia (erano 5 pubblicati ormai più di 10 anni fa su questo blog).

Il mercato elettrico, ed in genere il mercato, sta ostacolando il vero progresso della generazione elettrica che necessita di importanti modifiche strutturali; la Spagna per esempio è il paese europeo meno interconnesso ed è stato rimproverato dall’UE per questo; nei giorni precedenti al blackout si erano già verificati due momenti di crisi locale in Spagna raccontati da Repsol (https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/29/5-giorni-prima-del-mega-blackout-repsol-aveva-lanciato-lallarme-su-problemi-tecnici-ce-stato-un-grave-guasto-elettrico-lo-rivela-el-mundo/7968845/).

Quali sono gli aspetti di ammodernamento che servono sicuramente ma mancano  in Spagna ed altrove in Europa e nel mondo?

  1. Integrazione estesa della rete elettrica che serva a scambiare maggiori quantità di elettricità riducendo gli effetti della relativa imprevedibilità delle rinnovabili; al limite questo vuol dire UNA sola rete elettrica mondiale come proposto già nel 1938 da Buckminster-Fuller
  2. In attesa di una tale rete unica sviluppare accumuli locali di grande entità basati sull’eccesso di produzione delle rinnovabili specie del FV nelle giornate estive con accumulo sotto forma di idrogeno, metano o ammoniaca da bruciare e recuperare in situ e stoccare per le future esigenze, dunque sviluppo di un sistema di idrolizzatori, reattori chimici da idrogeno ad ammoniaca o metano, serbatoi per accumuli, reti di trasporto gas e centrali di combustione che funzionino poche ore l’anno, non basate dunque sul principio di redditività economica
  3. Consentire all’utente finale di pagare i consumi sulla base della produzione in tempo reale non invece a prezzi costanti che favoriscono il produttore o il distributore

Quello che queste mancanze denunciano è che le forze produttive, in particolare la trasformazione di energia, confliggono con la nostra organizzazione economica basata sul criterio del massimo profitto privato, e non invece sul benessere collettivo.

Occorre cambiare questa situazione al più presto se no la nostra specie diventerà una di quelle che scompaiono ben prima dei fatidici 5 milioni di anni medi: noi giovani scimmie intelligenti (in realtà mica tanto) ne abbiamo solo 300mila.

PS a post scritto leggo su Le Scienze che in Cina (un paese che viene spesso indicato come il nemico autocratico del libero occidente) mandano SMS agli utenti per invitarli a ridurre i consumi se ci sono problemi di sottoproduzione o al contrario per approfittare dell’eccesso produttivo consumando al momento, rendendo in questo modo più “intelligente” il consumo della risorsa.

* Il CIP6 è una delibera del Comitato interministeriale dei prezzi adottata il 29 aprile 1992 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 109 del 12 maggio 1992) a seguito della legge n. 9 del 1991, con cui sono stabiliti prezzi incentivati per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e “assimilate”. Il CIP6 è il contributo che abbiamo pagato per decenni per sviluppare le rinnovabili, ma in realtà usato per bruciare rifiuti e oli pesanti tecnicamente “assimilati” alle rinnovabili, uno scandalo enorme, costato decine di miliardi di euro.

Deuterated methylselenylating reagents designed for diverse Se-methyl-d3 scaffold construction

Chemical News - 2 maggio, 2025 - 17:52

Green Chem., 2025, 27,4779-4794
DOI: 10.1039/D5GC00193E, PaperXiao Xiao, Hong-Yu Tian, Jia-Chen Sun, Jun Bai, Min Wang, Biao Chen, Yu-Xia Jin, Hai-Bo Jiang, Dang Cheng, Fen-Er Chen
A concise, scalable and efficient process has been well established to access a library of Se-methyl-d3 reagents, which have been extensively applied to accomplish a series of high-efficiency transformations in a radical, electrophilic or nucleophilic manner.
The content of this RSS Feed (c) The Royal Society of Chemistry

A hydrogen atom transfer-enabled photocatalytic system for direct heteroarylation of C(sp3)–H and C(sp2)–H bonds

Chemical News - 2 maggio, 2025 - 17:52

Green Chem., 2025, 27,4655-4663
DOI: 10.1039/D4GC06209D, PaperHao-Sen Wang, Hao-Cong Li, Xiao-Ya Yuan, Kai Sun, Xiao-Lan Chen, Lingbo Qu, Bing Yu
A metal-free photocatalytic system was developed for the direct heteroarylation of C(sp3)–H or C(sp2)–H bonds.
The content of this RSS Feed (c) The Royal Society of Chemistry

Pollen-templated bio-TS-1: a sustainable catalyst with hierarchical porosity for propylene epoxidation

Chemical News - 2 maggio, 2025 - 17:52

Green Chem., 2025, 27,4732-4741
DOI: 10.1039/D4GC05612D, PaperOpen Access Open Access Creative Commons Licence&nbsp This article is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial 3.0 Unported Licence.Shaodi Sun, Yichen Liao, Zhuang Wang, Chuanhu Wang, Daohua Sun
The bio-TS-1 catalyst with a hierarchically porous structure, prepared with a pollen template, boosts epoxidation efficiency by enhancing mass transfer and product desorption, and improving site reactivity and durability through N self-doping.
The content of this RSS Feed (c) The Royal Society of Chemistry

Boosting the hydrodeoxygenation of PET waste to cycloalkanes by electron transfer and hydrogen spillover in HxWO3−y incorporated dendritic fibrous nanosilica supported Ni catalysts

Chemical News - 2 maggio, 2025 - 17:52

Green Chem., 2025, 27,4621-4631
DOI: 10.1039/D4GC06400C, PaperWenfeng Zhong, Jiayi Wang, Xuecheng Li, Suhua Wang, Hua Tan, Xinping Ouyang
The hydrodeoxygenation (HDO) of PET waste into C6–C8 cycloalkanes over novel Ni/HxWO3−y-DFNS catalysts via electron transfer and hydrogen spillover offers a sustainable strategy for PET upcycling.
The content of this RSS Feed (c) The Royal Society of Chemistry

L’Iran e il perclorato di sodio.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 29 aprile, 2025 - 14:49

Claudio Della Volpe

Bandar Abbas è una delle maggiori città iraniane e il suo porto è il principale porto dell’Iran, situato sullo stretto di Hormuz, nella parte più stretta e critica del Golfo Persico, est della penisola arabica (attenzione a non confonderlo, come capita spesso a me, col Mar Rosso, che è dal lato ovest della penisola Arabica).

Shahid Rajaee, una delle due metà del porto, è una grande struttura per le spedizioni di container, che copre 2.400 ettari. Gestisce 70 milioni di tonnellate di merci all’anno, tra cui petrolio e trasporti generali. Dispone di quasi 500.000 metri quadrati di magazzini e 35 posti di ormeggio.

Sabato 26 aprile vi si è verificata una enorme esplosione che ha provocato almeno 18 morti e 750 feriti con distruzione di vetri fino a chilometri dall’origine ed una altissima colonna di fumo.

L’autorevole sito della BBC riporta un filmato registrato casualmente dalla telecamera di un guidatore distante.

https://bbc.com/news/videos/clywpwr8y71o

Se ne trovano in rete anche altri a minore distanza.

Il video è privo di sonoro, ma mostra un dato importante per comprendere la dinamica degli eventi; inizia con una colonna di fumo già in atto, SEGUITA solo dopo qualche secondo dalla gigantesca esplosione.

Si tratta quindi verosimilmente di un incendio iniziale a cui è succeduta l’esplosione.

Questo serve a distinguerne l’origine; non si è trattato di un attacco missilistico, ma più probabilmente di un incendio, che può certo verificarsi casualmente in un grande porto come quello di Bandar Abbas (ma che potrebbe anche essere il risultato di un attacco con droni o comunque di un sabotaggio) che ha fatto in seguito esplodere sostanze ivi presenti.

Incendio fortuito o sabotaggio o attacco deliberato non sono ovviamente identici e potrebbero avere effetto sui colloqui attualmente in corso fra USA ed Iran sull’accordo per lo sviluppo del nucleare che sono ripresi da poco tempo.

Negli ultimi mesi le notizie giornalistiche riportano che nel porto iraniano sono state sbarcate migliaia di tonnellate di perclorato di sodio, provenienti dalla Cina. Le autorità iraniane hanno escluso qualunque implicazione con l’industria del petrolio.

Il perclorato di sodio NON è di per sé un buon esplosivo, anzi non può definirsi nemmeno DI PER SE un esplosivo, ma può esplodere in determinate condizioni che esamineremo fra un momento; esso viene usato per produrre una sostanza usata nei missili a combustibile solido: il perclorato di ammonio (di cui abbiamo parlato in passato) od anche per produrre miscele esplosive se per esempio viene mescolato a sostanze organiche o a zolfo.

Dunque questa esplosione rallenterà la produzione di razzi e missili, come lo Zolfaghar, che l’Iran esporta verso la Russia ed usa in altri teatri bellici.

Il perclorato di sodio è un composto di formula NaClO4, il sale sodico dell’acido perclorico, che si presenta come un solido cristallino incolore ed inodore. È un ossidante forte (il cloro ha numero di ossidazione +7) e può essere utilizzato, come tale o modificato, come comburente in miscele propulsive o esplosive. In sostanza gioca il ruolo che può giocare l’ossigeno. Notate la differenza che sussiste fra il perclorato di sodio e quello di ammonio, in cui la presenza dell’azoto nel suo stato più ridotto lo trasforma in un composto INTRINSECAMENTE esplosivo, capace di una reazione di auto-ossidoriduzione.

E’ estremamente solubile in acqua (oltre 2kg/l) e presenta proprietà igroscopiche; è stato usato come elettrolita per la costruzione di batterie agli ioni di sodio (invece che di litio come intercalante in elettrodo).

Un ossidante forte implica che esso non possa da solo dar luogo ad un esplosivo; in realtà abbiamo affrontato questo tema già in passato in vari post. Un esplosivo infatti deve avere una di queste proprietà: contenere un ossidante ed un riducente od essere formato da una miscela di sostanze ciascuna dotata di una delle due proprietà, anche eventualmente sfruttando la presenza dell’ossigeno atmosferico.

Il perclorato di sodio da solo è invece un forte ossidante, la presenza di ossigeno non lo aiuta a reagire; anzi se lo si riscalda oltre i 400°C si decompone in acido cloridrico ed ossigeno, ma non esplode.

Esplode se e solo se lo mescoliamo con un riducente che gli ceda i suoi elettroni, dunque una sostanza organica o un metallo, meglio se finemente suddiviso.

Comunque la definizione come esplosivo del perclorato di sodio puro è ancora discussa in letteratura (si vedano i documenti in bibliografia) in rapporto al suo comportamento se finemente suddiviso ed esposto ad una fiamma.

Può aiutarci a capire meglio la situazione un articolo scritto da chimici italiani: in cui si analizza l’esplosione di una miscela di sostanze ciascuna delle quali di per se non è esplosiva ma che messe insieme in modo inopportuno diventano una sorgente di esplosione. Per esempio stoccare il materiale senza superfici di separazione è uno dei fattori di rischio. Non tener conto del potenziale di reazione reciproca è un altro. Ovviamente non sappiamo nulla della effettiva situazione di Bandar Abbas, ma non crediamo sia stata poi così diversa da altri casi che abbiamo analizzato come l’esplosione nel porto di Beirut o nel porto cinese di Tianjin, che pure abbiamo cercato di analizzare in passato o perfino nella moderne fabbriche tedesche.

Probabilmente una cosa simile è successa anche a Bandar Abbas; una insufficiente gestione del rischio, spinta dal ritmo incalzante ed assurdo della produzione moderna (bellica o meno non fa differenza) ha certamente potuto provocare l’esplosione, non sappiamo se la cosa sia stata fortuita o sia stata aiutata opportunamente da qualche nemico dell’Iran.

Certo rispettare le norme di sicurezza rende più difficile anche ad un ipotetico nemico di intervenire.

Secondo un articolo pubblicato sul NYT di oggi, domenica 27, i morti sono diventati 25 e i feriti oltre 1100; si tratta dunque di una grande incidente chimico o di un atto bellico non trascurabile. Vedremo nei prossimi giorni.

Oggi 29 aprile: Reuters segnala 70 morti e 1200 feriti

NdA Di passaggio ricordo qua che una miscela esplosiva analoga si può ottenere facilmente ed aiuta a capire il problema che pongo della impossibilità per il perclorato DA SOLO di esplodere; da ragazzi si raccoglievano facilmente il clorato di potassio (che si usa come disinfettante della gola) e lo zolfo in eccesso nelle cantine (e che serve per fare lo “zolfarello” al vino bianco, bruciarci zolfo vicino per produrre anidride solforosa per impedirne l’acidificazione); la miscela di clorato di potassio e zolfo se sottoposta a compressione (tipicamente fra due pietre) produce una blanda esplosione; attenzione non riproducete questo processo da soli se non ne comprendete le caratteristiche, potreste farvi male. Una tradizione del genere da veri monelli si trova in varie regioni italiane.

Da leggere:

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/0010218067900624

https://www.sciencedirect.com/topics/earth-and-planetary-sciences/ammonium-perchlorate

https://pubchem.ncbi.nlm.nih.gov/compound/Sodium-Perchlorate

Agricoltura sostenibile.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 25 aprile, 2025 - 14:59

Luigi Campanella, già Presidente SCI

È stato detto e scritto più volte. Se tutta la superficie coltivabile della Terra fosse divisa fra gli 8 miliardi di persone e passa che la abitano a ciascuno spetterebbe un fazzoletto che dovrebbe rappresentare la superficie dalla quale ottenere le risorse per vivere. Purtroppo, fatti i conti, si è visto che così non è.

Però anziché puntare solo ad aumentare la quantità di risorse ottenibili dal proprio fazzoletto gli uomini dei Paesi più forti hanno deciso di appropriarsi dei fazzoletti dei cittadini dei Paesi più deboli. Così la societá globale si è indirizzata verso una visione polarizzata in cui coesistono cittadini che dispongono di 8 fazzoletti e cittadini che possono usufruire solo di frazioni del proprio fazzoletto.

Per combattere la fame nel mondo ci sono tre strade tecniche l’aumento della produzione con fertilizzanti, l’aumento della capacità nutrizionale con modificazioni genetiche delle colture alimentari, la protezione della salute dei vegetali con equilibrata adozione di fitofarmaci; ed una etica, utilizzare contro la fame nel mondo le risorse alimentari che vengono colpevolmente indirizzate verso la produzione di proteine animali venendo incontro a richieste da parte di stili di vita le cui conseguenze  sul piano ambientale ed igienico sanitario sono ben note.

Tutte queste strade trovano però per ragioni diverse opposizione le prime da parte della componente ambientalista della società civile, le seconde da parte dei grandi produttori di carne. Ovviamente questo non significa che le strade tecniche siano state abbandonate, ma di certo la intensità con cui vengono perseguite non corrisponde ai criteri di emergenza che a volte la fame nel mondo richiederebbe.

Ora però una nuova denuncia si aggiunge a creare allarme: l’agricoltura 2.0 e 4.0 potrebbe con le innovazioni tecniche e scientifiche che la caratterizzano contribuire ad una nuova fase dello sviluppo agricolo con ovvie ricadute anche sul problema alimentare. Cementificazione e abbandono della terra costringono l’Italia ad acquisire all’estero il 40% di mais, soia e grano; ed ora si aggiunge il problema dei dazi americani.

I terreni agricoli persi nell’ultimo secolo ammontano al 33% con valori delle % importate dei prodotti consumati che per carne e grano raggiungono il 60%. Le ragioni di questo abbandono sono molteplici a partire dall’emergenza siccità dovuta ai cambiamenti climatici ed alla irrazionale gestione degli invasi per la raccolta dell’acqua piovana. Altre ragioni vanno ricercate nella diffusione di specie selvatiche, nelle difficoltà gestionali in relazione ai limiti burocratici europei, nella concorrenza da parte delle importazioni da Paesi come Turchia e Canada dove si coltiva con tecniche non consentite in Italia per l’uso indiscriminato del glifosato.

La mancanza di reciprocità pesa peraltro anche sulla possibilità di accordi bilaterali. A questo quadro negativo fanno riscontro alcune situazioni favorevoli: l’innovazione tecnologica con la robotizzazione agricola, le applicazioni all’agricoltura dell’intelligenza artificiale, il nuovo approccio dell’agricoltura rigenerativa. Questa sfrutta la presenza nel terreno dei microorganismi preziosi per la sua qualità. Così il suolo viene continuamente rigenerato acquisendo resilienza e fertilità, sostituendo l’aratura tradizionale, che a causa della grande profondità coinvolta, comporta una modificazione strutturale del terreno che finisce per nuocere alla resa del terreno rispetto alle colture su di esso impiantate.

DGMK/ÖGEW/SCI 2025

Chimica Industriale - News - 19 aprile, 2025 - 05:45

DGMK/ÖGEW/SCI-Conference ‘Hydrogen and Syngas - Platform for a Sustainable Future" 28 – 29 October 2025, Essen | Call for Papers: May 8, 2024

Call for papers per la conferenza di quest’anno del DGMK.

Scadenza sottomissione abstract: 8 maggio 2025

DGMK/ÖGEW/SCI 2025

Chimica Industriale - Congressi - 19 aprile, 2025 - 05:45

DGMK/ÖGEW/SCI-Conference ‘Hydrogen and Syngas - Platform for a Sustainable Future" 28 – 29 October 2025, Essen | Call for Papers: May 8, 2024

Call for papers per la conferenza di quest’anno del DGMK.

Scadenza sottomissione abstract: 8 maggio 2025

Il cacciatore appende il camice al chiodo?

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 18 aprile, 2025 - 12:29

Mauro Icardi

«Il rapporto che lega un uomo alla sua professione è simile a quello che lo lega al suo paese; è altrettanto complesso, spesso ambivalente, ed in generale viene compreso appieno solo quando si spezza: con l’esilio o l’emigrazione nel caso del paese d’origine, con il pensionamento nel caso del mestiere» (P. Levi, Ex-chimico, in Opere complete, vol. I, p. 810).

E’ da molto tempo che rifletto su quanto esprime  Primo Levi in questo brano.

Il mio pensionamento dovrebbe (il condizionale in questo caso è d’obbligo e ha anche una funzione scaramantica) concretizzarsi nell’ottobre del prossimo anno. Dei canonici 42 anni e 10 mesi di contribuzione utile per arrivarci, 40 sono stati interamente dedicati al lavoro da chimico tout court.

Dal 2022 mi sto invece occupando della gestione degli approvvigionamenti, sempre per il settore dei laboratori dell’azienda unica di gestione del ciclo idrico, che è stata costituta con la fusione di varie altre aziende che operavano sul territorio provinciale di Varese.

Le variazioni e ricollocazioni, sono situazioni che ogni modifica aziendale normalmente comporta, e che possono essere occasioni di crescita anche in età “matura”, e in ogni caso sono incombenze che nei laboratori si devono affrontare.

Ma nei primi tempi ho provato una sensazione molto forte di nostalgia, quasi di perdita. Ho lavorato sul campo, alternandomi tra parte di gestione, e parte di controllo analitico del ciclo idrico per un trentennio. Ho lavorato per il settore gestione rifiuti, e nel settore dei prodotti vernicianti.  Ho cercato di crescere professionalmente sempre, spinto dagli obblighi dell’iscrizione all’ordine professionale, ma soprattutto per soddisfare la mia curiosità personale.

Mi sono sempre riconosciuto nella definizione di chi praticava la “chimica modesta”, termine coniato da Giorgio Nebbia, in cui mi sono sempre riconosciuto.

Nel momento di passaggio al nuovo incarico mi ritornava in mente un altro brano di Primo Levi, riferito agli errori che scatenano l’impolmonimento della vernice antiruggine.

“ Me lo raffiguravo, il tapino , sullo sfondo di quegli anni difficili: non più giovane, poiché i giovani erano militari; forse braccato dai fascisti, o magari anche fascista ricercato dai partigiani; certamente anche frustrato perchè l’analista è mestiere di giovani.” (P. Levi, Cromo, in Opere complete, vol. I, p. 874).

Col passare del tempo ho maturato un altro tipo di atteggiamento, anche perchè gestire gli acquisti di un laboratorio prevede di avere delle conoscenze tecniche e di saper fare le valutazioni appropriate, rispetto alla qualità di cosa deve essere fornito. Questo aspetto mi mette ogni giorno a confronto con ragazzi più giovani, in uno scambio che accresce sia me che loro. Qualcuno mi chiede consigli, e io mi rendo disponibile Mi rimane la nostalgia per la parte del lavoro sul campo, ovvero negli impianti di trattamento, ma questo lo gestisco stimolando la mia curiosità innata.

Mi sono anche convinto che in realtà non si appenda mai realmente “il camice al chiodo”. Cambiano alcune cose, altre restano invariate. Ragiono come un chimico, continuo a guardare istintivamente ogni impianto di depurazione, o di digestione anaerobica che vedo. Nel caso di richieste che provengano dai colleghi della sezione amministrativa, spiego sempre con molta dovizia di particolari cosa sia ad esempio un gascromatografo, termine che letto per esempio su una fattura, possa far sobbalzare qualcuno sulla sedia quando ne legge il prezzo.

La vita è fatta di cambiamenti continui, che occorre accogliere ed accettare. Ma se sei un chimico, tale rimani. Anche quando il caos di persone in un centro commerciale, ti porta a pensare al movimento caotico delle molecole dei gas.

Siamo chimici, cioè cacciatori, diceva Primo Levi e lo rimaniamo per tutta la vita.

Questa immagine è un regalo di pensionamento di un amico di redazione.

Plastiche alternative?

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 15 aprile, 2025 - 15:04

Diego Tesauro

In un precedente post abbiamo smitizzato il riciclo della plastica da idrocarburi; in particolare il polietilene ed il polipropilene sono difficili da scomporre in monomeri o in frammenti riutilizzabili per produrre nuovamente della plastica secondaria identica a quella primaria a causa della stabilità dei legami carbonio-carbonio. Sarebbe pertanto auspicabile una riduzione e riuso di queste forme di plastica, in primo luogo per il monouso. Laddove non fosse possibile il riuso, per mantenere l’integrità e la salubrità degli alimenti oppure per usi sanitari e non essendo la plastica attuale riciclabile, né attualmente smaltibile se non con costi economici ed ambientali difficilmente sostenibili, cosa bisognerebbe fare? Ci sono alternative?

Molti colleghi ricercatori in tutto il mondo, ma anche in Italia, sono meritoriamente ed attivamente impegnati nella ricerca per produrre polimeri a partire da sostanze naturali e soprattutto da scarti alimentari essendo importante non utilizzare materia prodotta specificamente per il suo impatto ambientale. Accanto alla materia prima, bisogna immediatamente individuare anche il destino del polimero dopo l’uso.

Oggi la plastica prodotta da idrocarburi, come sintetizzato nella figura 1, è solo in minima parte riutilizzata per plastica e comunque nella maggior parte dei casi, diversa da quella originaria. Uno dei tre metodi, il chimico, che potrebbe rigenerare una materia secondaria analoga alla primaria, è stato ben analizzato in un articolo apparso di recente [1] e citato in altri post.

Figura 1 Schema che in proporzione mostra come attualmente solo una limitatissima parte della plastica venga effettivamente riciclata e comunque per un materiale differente rispetto a quello primario.

Il metodo chimico si basa sulla decomposizione termica attraverso la pirolisi o il cracking a vapore. Questi processi ad alta intensità energetica convertono solo una piccola parte del materiale nei suoi elementi costitutivi di base, principalmente utilizzabili come combustibili, e generano notevoli emissioni di CO2. La plastica alternativa, per essere sostenibile, deve essere compostabile; ma in questo caso si porrebbe comunque il problema della produzione della materia prima che avrebbe il suo notevole impatto ambientale, qualora fosse prodotta su terreni agricoli. Sarebbe ancora più desiderabile che la plastica fosse effettivamente scomponibile in monomeri o frammenti che ne permettessero una nuova formulazione. In questo caso la plastica secondaria dovrebbe avere proprietà, per quanto possibile, equiparabili a quella attualmente in uso. Fino ad oggi alternative, che rispondessero a queste richieste e che fossero economicamente compatibili, non si sono ancora registrate. Negli ultimi anni, però, è stata proposta un’alternativa interessante basata su un materiale a base poliestere con proprietà simili a quelle del polietilene ad alta densità (HDPE), ottenuto utilizzando la condensazione a stadi di acidi dicarbossilici e dioli [2].

Un recente articolo riporta un progresso significativo attraverso materiali che rispecchiano le proprietà desiderabili del polietilene, consentendo allo stesso tempo la completa scomposizione dei loro componenti di partenza in condizioni blande [3]. In particolare gli autori della ricerca presentano un percorso semplificato attraverso la polimerizzazione deidrogenativa, utilizzando catalizzatori di manganese che vanno a sostituire metalli ben più rari e costosi come rutenio e palladio. L’uso di manganese rende questo processo commercialmente più praticabile, essendo questo metallo più abbondante e meno costoso nonostante sia considerato fra gli elementi critici per la transizione ecologica perché presente nelle batterie per le auto elettriche. Il sistema consente la polimerizzazione diretta di dioli bioderivati da oli o microalghe a 18 atomi di carbonio senza un preciso controllo stechiometrico, formando legami esterei con idrogeno gassoso come unico sottoprodotto (Figura 2a).

Figura 2 Panoramica del riciclaggio catalitico a circuito chiuso di materiali PE-like con proprietà regolabili dalla polimerizzazione di materiali lineari e ramificati a base biologica quali i dioli. a, I monomeri lineari e ramificati sintetizzati dalla bioraffinazione di oli vegetali o di microalghe. b, Approccio diretto con polimerizzazione a circuito chiuso e il riciclo a base biologica di materiali PE-like con proprietà meccaniche altamente regolabili da dioli lineari e ramificati a catena lunga utilizzando un complesso di Mn.(copyright Nature)

Questo sistema rappresenta un progresso significativo. In condizioni ottimizzate, in presenza del catalizzatore e di una base (KOtBu) a 130 °C, il sistema raggiunge pesi molecolari fino a 185 kDa, paragonabili ai polietileni commerciali. Lo stesso catalizzatore può successivamente mediare la depolimerizzazione controllata a temperature moderate, offrendo una soluzione elegante sia per la formazione che per il riciclaggio del polimero.

La versatilità di questo approccio deriva dalla sua capacità di incorporare monomeri di dioli sia lineari che ramificati (Figura 2b). I componenti lineari forniscono cristallinità e resistenza meccanica, mentre i segmenti ramificati consentono la regolazione di proprietà come l’elasticità e l’adesione alle superfici.

Con un contenuto di ramificazione inferiore al 20%, i polimeri presentano un impacchettamento di cristalli ortorombici simile al polietilene convenzionale. Queste regioni cristalline consentono un efficiente impacchettamento della catena che conferisce elevata resistenza chimica e rigidità. Variando sistematicamente il contenuto di monomeri ramificati dal 3% all’80%, i ricercatori hanno modificato la cristallinità dal 44% a ad una struttura completamente amorfa, rispecchiando il comportamento osservato nel polietilene lineare a bassa densità (LDPE) commerciale. Questa modularità consente la produzione di materiali che vanno dai termoplastici rigidi (simili al polietilene ad alta densità, HDPE) agli elastomeri flessibili. L’incorporazione dello zolfo attraverso i gruppi tioetere nei segmenti ramificati rivela un’altra caratteristica utile di questi materiali: la forte adesione alle superfici metalliche come l’acciaio inossidabile, eguagliando le prestazioni degli adesivi commerciali. Questa forza adesiva, notevolmente assente nelle varianti senza gruppi tioetere, dimostra come la progettazione molecolare strategica possa conferire funzionalità aggiuntive oltre alle proprietà convenzionali del polietilene.

La caratteristica più distintiva del sistema è la sua efficiente riciclabilità chimica. Lo stesso catalizzatore al manganese consente la depolimerizzazione selettiva attraverso l’idrogenazione, raggiungendo tassi di recupero del monomero fino al 99% anche in presenza di plastiche e additivi commerciali. I monomeri recuperati sono stati ripolimerizzati con successo e rese elevate ottenendo un materiale con le stesse proprietà di resistenza alla trazione, allungamento alla rottura e tenacità paragonabili a quelli del campione vergine. Gli autori hanno verificato queste proprietà per altri due cicli aggiuntivi.

Un altro aspetto particolarmente rilevante da sottolineare che i contaminanti comuni presenti nella raccolta della plastica, come il polietilene tereftalato (PET), rimangono intatti, consentendo una separazione semplice mentre viene condotta la reazione di depolimerizzazione completa a 110 °C. Per cui i monomeri recuperati possono essere isolati attraverso la cristallizzazione e ripolimerizzati senza perdita di proprietà, dimostrando un vero riciclo a circuito chiuso, qualora questo materiale fosse mescolato a rifiuti misti. Oggi questa situazione è il collo di bottiglia particolarmente critico nelle attuali infrastrutture di riciclaggio della plastica. Il processo si adatta a materiali colorati e vari additivi, suggerendo una potenziale fattibilità industriale, anche se, per adesso, non si è andati oltre alla produzione di 30 g di polimero.

Di fronte a questi risultati, sembrerebbe di aver trovato una valida soluzione ai problemi.

In realtà restano sicuramente alcune problematiche. Per la ricerca futura si presenta la necessità di ridurre i carichi dei catalizzatori mantenendo alti i pesi molecolari; il che rappresenta una sfida chiave per la redditività economica. Inoltre lo sviluppo di catalizzatori ancora più attivi e di sistemi di leganti più semplici, che operino a temperature più basse, potrebbe migliorare ulteriormente le proprietà. Il lavoro futuro dovrebbe concentrarsi sull’ottimizzazione della ri-polimerizzazione per mantenere pesi molecolari costanti su più dei tre cicli, testati dagli autori della ricerca e sull’espansione degli studi sulla sensibilità all’umidità e sulle prestazioni a lungo termine con additivi commerciali.

Guardando al futuro, con l’avanzare della ricerca, sarà fondamentale espandere questo approccio ad altre classi di monomeri, soprattutto che derivino da prodotti di scarto, mantenendo l’equilibrio tra lavorabilità, prestazioni e riciclabilità. L’integrazione con l’infrastruttura di riciclaggio esistente presenta sia sfide che opportunità, in particolare per quanto riguarda i sistemi di recupero dei catalizzatori e la scalabilità dei processi di depolimerizzazione selettiva.

[1] Garcia-Gutiérrez P. et al. Environmental and economic assessment of plastic waste recycling and energy recovery pathways in the EU Resources, Conservation & Recycling  2025, 215, 108099

[2] Schwab S.T. Synthesis and Deconstruction of Polyethylene-type Materials Chem. Rev. 2024, 124, 5, 2327–2351 https://doi.org/10.1021/acs.chemrev.3c00587

[3] Liu, X. et.al Catalytic closed-loop recycling of polyethylene-like materials produced by acceptorless dehydrogenative polymerization of bio-derived diols. Nat. Chem. 2025, 17, 500–506. https://doi.org/10.1038/s41557-025-01753-8

IA e sperimentazione animale.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 11 aprile, 2025 - 16:48

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Chi ha letto i miei precedenti interventi su questo tema sa come la penso: non è ragionevole sostenere allo stesso tempo la medicina personalizzata e la sperimentazione animale.

Se è vero che ogni patologia va trattata in funzione del paziente, vista la variabilità del genere umano, come si può trasferire il risultato delle ricerche da una specie ad un’altra? Si possono ammettere specifiche eccezioni in particolari branche della medicina, ma non un’accettazione in termini generali. Sul tema sono intervenuti scienziati e politici che ne hanno affrontato gli aspetti tecnici, etici e legislativi. Ora un nuovo elemento viene a contribuire al tema: mi riferisco all’Intelligenza Artificiale.

L’intelligenza artificiale può salvare milioni di vite degli animali impiegati nella ricerca biomedica per gli esperimenti in laboratorio. Ne è convinta Arti Ahluwalia, professoressa di Bioingegneria all’Università di Pisa e per anni direttrice del Centro di Ricerca “E. Piaggio”, specializzato in automazione, robotica e bioingegneria dove ancora oggi continua a svolgere le sue ricerche.

 Un tema particolarmente caro alla ricercatrice, che l’ha spinta a fondare il Centro 3R, il centro interuniversitario italiano per la promozione dei principi della raccomandazione/direttiva dell’UE volta a ridurre, sostituire, affinare l’utilizzo degli animali nella sperimentazione scientifica. L’intelligenza artificiale accelera l’analisi dei big data e dei marcatori, riducendo la necessità di esperimenti sugli animali, fino a simulare processi biologici complessi attraverso modelli computazionali avanzati senza bisogno di sperimentazione in vitro.

The 3 R's of Humane Animal Research | RockStep Solutions 

Quello della sperimentazione animale non è d’altra parte il solo contributo dell’AI alla ricerca biomedica, tenuto conto del suo contributo a livello ambientale e nella promozione dell’economia circolare, visti i modelli basati sull’AI che riducono sprechi e migliorano l’efficienza. In pratical’intelligenza artificiale può essere impiegata per creare modelli più realistici della fisiologia e della patofisiologia umana. Poiché gli esseri umani presentano un’enorme variabilità individuale—dovuta a fattori genetici, stile di vita, abitudini e condizioni ambientali—le risposte biologiche possono variare significativamente da persona a persona.

Al contrario, negli esperimenti di laboratorio sugli animali, i soggetti appartengono spesso allo stesso ceppo genetico, seguono diete standardizzate e vivono in ambienti controllati e uniformi. Questa omogeneità limita la possibilità di rappresentare la complessità e la diversità biologica umana. L’intelligenza artificiale, invece, grazie alla sua capacità di elaborare enormi quantità di dati, permette di sviluppare modelli personalizzati che tengono conto delle specificità individuali. Questo approccio potrebbe essere fondamentale per superare il problema della scarsa trasferibilità dei dati ottenuti dalla sperimentazione animale.

La Plastica è riciclabile?

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 6 aprile, 2025 - 10:39

Diego Tesauro

Recentemente in questo blog è stato meritoriamente riportato un intervento su un report del JRC della commissione europea sul riciclaggio della plastica. In quel report, analizzando i tre metodi attualmente disponibili per riciclare la plastica utilizzata, per gli imballaggi monouso, si metteva in evidenza come il riciclaggio meccanico poteva essere superiore agli altri metodi, ma soprattutto all’incenerimento. La domanda potrebbe essere a questo punto, ma la plastica è davvero riciclabile?

Lungi da noi voler demonizzare la plastica verso la quale da chimici, e soprattutto da chimici italiani, siamo debitori avendo a partire dagli cinquanta e sessanta contribuito al boom economico e finanziato la nostra attività di ricerca. Inoltre il nuovo materiale ha trovato un numero infinito di applicazioni che ha migliorato le condizioni sanitarie, la vita di tutti i giorni, ma anche, può sembrare paradossale, l’ambiente (riduzione della deforestazione, dell’uso di energia proveniente dai combustili fossili ecc.). Ed allora bisogna focalizzarsi sull’uso della plastica monouso che rappresenta oltre il 50% di quella prodotta ed è l’unica che attualmente secondo la legislazione è sottoposta a processi di riciclaggio. La crescente sensibilità ambientale nel mondo, almeno quello occidentale, ha comportato da parte delle imprese, attraverso messaggi rassicuranti, la promozione del loro prodotto garantendo la sua riciclabilità oppure l’uso in percentuale di plastica riciclata. La realtà purtroppo è lontana dal messaggio idilliaco diffuso.

Nel mese di settembre dello scorso anno è stato contestato alla Exxon-Mobil dalla procura della California la pubblicità menzognera (https://www.bbc.com/news/articles/cp8elg6ezlko), in quanto solo il 15% della plastica prodotta era effettivamente riciclata, mentre il resto distrutta in inceneritori oppure avviata in discarica. Ma non solo negli Stati Uniti si presenta il problema del riciclaggio e della pubblicità menzognera. Trovandomi in Francia per oltre un mese ho riscontrato che le stesse problematiche sono state evidenziate da un’inchiesta condotta dal canale televisivo pubblico France 5. Partendo da un proclama del presidente Macron che nel 2019 poneva ottimisticamente come obiettivo per il 2025 il 100% di riciclaggio della plastica degli imballaggi utilizzati in Francia, gli autori dell’inchiesta hanno seguito un camion adibito alla raccolta differenziata (figura 1) ed il percorso dei rifiuti nella filiera degli stabilimenti attraverso la quale passava.

Figura 1 Manifesto in cui si promuove in Francia la raccolta differenziata e il riciclaggio dei materiali

Ebbene, dopo essere stata separata dalla raccolta dall’altro materiale in un primo stabilimento (figura 2) posto a 200 Km di distanza (con energia sprecata e relative emissioni di CO2) solo il 70% veniva inviato in successivo stabilimento ad altri 200 km di distanza, dove, invece di essere riciclata, la maggior parte veniva avviata alla produzione di CSS (Combustible de Substitution Solide) quello che altrimenti in Italia chiamiamo CdR (combustibile da rifiuto).

Figura 2 Linee di uno stabilimento per la separazione del multimateriale

Questo combustile poi finiva in un cementificio provocando emissioni di polveri per 30 mg/m3 ben superiori ai 10 mg/m3 consentiti agli inceneritori (cioè la raccolta differenziata della plastica alla fine provocava maggiori emissioni di CO2 e maggiori produzioni di polveri!). Solo una piccola frazione veniva avviata verso un paese africano (con alta emissione di CO2) dove poi, a seguito di trattamento meccanico, venivano prodotti nuovi manufatti. A questo punto l’inchiesta facendo un po’ di calcoli arrivava a stabilire che solo il 3% della plastica raccolta in Francia in modo differenziato veniva effettivamente riciclata in manufatti, che non erano identici a quelli iniziali.

Cioè la filiera della plastica non comporta la produzione di un materiale secondario identico a quello primario. Inoltre laddove era possibile separare il solo PET, solo una piccola percentuale poteva essere aggiunta a PET vergine per rifare una bottiglia per la presenza di additivi e per accorciamento delle catene polimeriche durante i processi di riciclaggio.

Per cui, paradossalmente qualora tutto il PET fosse riutilizzato dovendo aggiungere sempre materia vergine bisognerebbe aumentare progressivamente il numero di bottiglie prodotte, alimentando la domanda…! Insomma la conclusione, anche in Francia, era che il riciclaggio era una finzione menzognera, per pulire la coscienza di chi era invogliato ad utilizzare la plastica monouso.

Questo è un messaggio duro da recepire poi anche in Italia dove la filiera degli imballaggi continua ad essere presentata come un asse portante dell’economia. Prima di giungere alla terza R di Lisbona, che è l’unica alla quale ci sembra di essere affezionati anche in Italia, bisogna prima adoperarsi per le prime due R.

Ridurre e riusare.

In alcune aree della Germania si cerca di attuare la seconda R, per quanto riguarda le bottiglie di PET raccolte nei supermercati e riutilizzate una volta lavate e sterilizzate. Forse è questa la via che si dovrebbe prendere anche se, a mio avviso, non priva di qualche problematica. Il multiuso negli imballaggi potrebbe comportare un rilascio di monomeri o nanoplastiche nel contenuto? Allora forse laddove è possibile bisognerebbe utilizzare per molti prodotti e soprattutto per tutti i non alimentari la filiera della distribuzione senza packaging ed utilizzare negli altri casi, per garantire la salubrità degli alimenti, degli imballaggi compostabili.

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